I ragazzi di Beqir - Confluenze

I ragazzi di Beqir

di Christian Elia, fotografie di Camilla de Maffei. Alfred si guarda intorno, tra il cielo e la terra. E’ il più grande dei fratelli Fiska, una guida d’eccezione per quella terra di mezzo, tra la pianura e il cielo, tra le colline coltivate a vigna e la sontuosa maestà del monte Tomor.

Alfred si guarda intorno, tra il cielo e la terra. E’ il più grande dei fratelli Fiska, una guida d’eccezione per quella terra di mezzo, tra la pianura e il cielo, tra le colline coltivate a vigna e la sontuosa maestà del monte Tomor.

Il villaggio di Roshnik, a circa mezz’ora dal centro di Berat, è come un vecchio signore seduto nel cuore di una valle verdeggiante, all’ombra del Tomor, il monte più alto d’Albania, con la sua cima Partizani che arriva a 2416 metri. Una montagna ammantata di spiritualità, dove migliaia di fedeli bekteshi vengono in pellegrinaggio ogni anno.

Alfred, come i suoi fratelli, è cresciuto qui. Tra il Tomor e la valle, le vigne e il villaggio, con la sua moschea rossa, bellissima, e la vecchia casa padronale del bey ai tempi dell’Impero Ottomano.

Alfred, come i suoi fratelli, è l’anima della azienda vinicola Kantina e Veres Alpeta. “Siam dentro da sempre, anche nel nome!”, racconta divertito Alfred. E ha ragione, perché il patriarca Beqir ha dato all’azienda il nome dei figli: Alfred, Petrit e Tahir. Con le loro iniziali si forma il nome Alpeta. “Manca un altro figlio, Ilir, ma ha voluto fare il ristoratore!”, sottolinea papà Beqir, come a rimproverarlo sornione.

La storia della cantina di famiglia, incastonata sulla collina che domina il villaggio, senza soluzione di continuità tra le vigne, la cantina e la casa di famiglia, inizia nel 1992. “Ma tutto è iniziato molto tempo prima, perché qui, dove oggi ci siamo noi”, racconta Alfred, “c’era una cooperativa vitivinicola – di proprietà dello Stato – della quale mio padre era direttore. Quando tutto è finito, la mia famiglia ha solo ripreso la terra che ha sempre lavorato e ci apparteneva anche prima dell’arrivo del comunismo”.

Inizia un giro irresistibile di assaggi; tra le produzioni della famiglia Fiska, che produce raki, la tradizionale grappa albanese, invecchiata in botti di legno o distillata in modo tradizionale, si distinguono i vini, dal Pules (vitigno autoctono) al Merlot, al Merlot – Cabernet fino al Merlot riserva. Impossibile resistere, mentre ai vini si accompagnano assaggi di formaggi e miele.

Papà Beqir osserva tutto, sorridendo, suggerendo, ma tenendosi un passo indietro rispetto ai figli, come ad affidargli il futuro e a valutarne la prontezza, allo stesso tempo. Ma non si tira indietro, oltre che per un brindisi in compagnia, nel raccontare una lunga storia di vino e di politica.

Perché Beqir, all’epoca del regime di Hoxha, la dirigeva comunque questa cooperativa, che dava lavoro a praticamente tutti gli abitanti del villaggio, in particolare alle donne. E lo faceva a modo suo.

“Io ho sempre messo via qualcosa per le persone che lavoravano qui: alla fine era ingiusto vederli lavorare tutto il tempo e poi consegnare tutto il frutto del loro lavoro allo Stato! Ecco, diciamo che io davo una mano, ogni tanto, a togliersi uno sfizio!”, ride di gusto. Tutto è sempre andato bene, tranne quella volta, quella che in paese ricordano ancora tutti: il capodanno del 1981.

“Quella sera ho organizzato una festa da ballo, qui in cooperativa, con tutti i lavoratori! Ecco, praticamente la situazione mi è sfuggita di mano: alla fine si sono ubriacati tutti gli abitanti del villaggio! Soprattutto le donne! E quando il rappresentante locale del partito e venuto a vedere cosa accadeva si è trovato di fronte a uno spettacolo indimenticabile!”, racconta Beqir, come fosse passato un giorno, tra le risate dei suoi figli. “Me la sono vista brutta, ma me la sono cavata! E il vino, ancora oggi, dopo tutti questi anni, è la mia e la nostra vita.”

L’Albania sta riscoprendo, sempre di più, la viticoltura di qualità. Nella zona di Berat, da oltre cento anni, c’è una tradizione antica, che però a differenza di altre colture aveva conosciuto un lento declino durante il regime, che non la riteneva una produzione strategica. Quel che si produceva, serviva al mercato interno, o poco più, con un grande utilizzo in occasione del Capodanno.

Già prima dell’avvento di Hoxha, ai tempi dell’Impero Ottomano, la produzione di vino in Albania (che la tradizione vuole nata già nel VIII sec A.C.) aveva subito una battuta d’arresto, ma non è mai morta e oggi, con attività come quella dei fratelli Fiska, prova anche a puntare sulla qualità.

“In fondo le cose cambiano, le epoche storiche e le persone passano, ma in questa valle la cultura del vino non sparirà mai. Io l’ho tramandata ai miei figli, loro lo faranno ai loro”, conclude Beqir, prima di portare tutti a pranzo. E c’è da credergli.

Il presente articolo di Christian Elia e Camilla de Maffei è parte del progetto “TREC – Albania Viaggia a Modo Tuo: Gestione Multi-Attore Integrata del Turismo Rurale e Culturale Nelle Regioni di Argirocastro e Berat”, finanziato da “AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo”. L’ong capofila CESVI (www.cesvi.org) lo implementa in collaborazione con numerosi partner istituzionali e locali. Il progetto mira ad uno sviluppo sostenibile del territorio attraverso interventi di supporto alle piccole imprese agroalimentari, artigianali e turistiche, formazione professionale e marketing territoriale. Nei prossimi mesi anche su Confluenze sarà pubblicato il sito dedicato al progetto.

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