Una cooperativa al femminile lungo la Drina - Confluenze

Una cooperativa al femminile lungo la Drina

di Louis Seiller. Grazie alla collaborazione con Reporterre, le quotidien d'écologie pubblichiamo il reportage del giornalista Louis Seiller da Ustikolina, villaggio bosniaco lungo il fiume Drina. Durante il nostro viaggio estivo in Bosnia Erzegovina che organizziamo assieme a ViaggieMiraggi ci fermiamo anche qui, ospiti per un'intera giornata delle donne di "Emina", cooperativa agroalimentare nonché anima del "Presìdio Slow Food dello slatko di prugne požegača".

La regione di Goražde, in Bosnia Erzegovina, ha molto sofferto durante i conflitti jugoslavi degli anni novanta. Interi villaggi rasi al suolo, la componente bosgnacca della popolazione costretta alla fuga. Grazie al sostegno di Slow Food e al successo di una cooperativa agroalimentare, alcuni dei vecchi profughi tornati nei loro villaggi hanno oggi un motivo per rimanere.

«Ieri abbiamo pelato le prugne a mano, quindici chili al termine della giornata. E’ un metodo lento, che prende molto tempo». Jasmina Šahović e le sue vicine discutono dalle loro cucine esterne, ombreggiate dai fruttetti, l’occhio vigile sui fornelli. Per le donne del villaggio di Ustikolina, nel sud-est della Bosnia Erzegovina, la stagione delle prugne è sacra. Non si può fallire. La loro požegača, una varietà autoctona di Prunus insistitia, non è una prugna qualunque. «E’ la migliore varietà esistente, con caratteristiche uniche ed un gusto particolare,» spiega Jasmina mentre ne snocciola una delicatamente. «Non ha bisogno di pesticidi né di annaffiature, è quasi una pianta selvatica. Attraverso i suoi frutti, si può produrre rakija (acquavite), slatko (conserva sciroppata) e marmellata.

A Ustikolina, le prugne di polpa gialla che Jasmina cosparge di zucchero rappresentano molto più che sempici conserve. Questo villaggio, circondato da colline oggi ricoperte di frutti e verdura che dominano le misteriose acque verdeggianti della Drina, ha avuto una storia recente molto travagliata. «Dopo la guerra degli anni novanta, qui non era rimasto più nulla» racconta Jasmina, «era stato tutto distrutto, la vegetazione aveva invaso gli spazi vuoti». La regione di Goražde è stata teatro di alcune tra le peggiori atrocità commesse durante la disintegrazione della Jugoslavia, il conflitto con più morti dalla seconda guerra mondiale. Tra il 1992 e il 1995, questa cittadina è stata assediata dalle forze  serbo-bosniache. Guidate dal generale Ratko Mladić, si sono macchiate di diversi crimini contro la componente bosgnacca tesi alla pulizia etnica di questa regione. «Il padre di mio marito è stato ucciso, come anche sua madre,» continua Jasmina.

Assieme a mio marito, abbiamo dovuto lasciare la regione durante quei quattro anni di guerra. Siamo tornati al villaggio di Ustikolina poco meno di diciannove anni fa.

Bandiere differenti a seconda dei villaggi che si attraversano, case in rovina, cimiteri sul ciglio della strada… le conseguenze della guerra si notano anche nel 2019. A Ustikolina, basta salire sulle colline, a qualche decina di metri dalla casa di Jasmina, per imbattersi in filo spinato. Il villaggio è infatti situato sul «confine interno» che divide la Bosnia Erzegovina nelle sue due entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (Federacija Bosne i Hercegovine) e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (Republika Srpska). Un’immagine questa che rimanda alla decisione presa dalla comunità internazionale nel 1995, che per mettere fine al conflitto ha schiacciato le istituzioni di questo paese dentro linee «etniche», in ciò avallando di fatto gli obiettivi perseguiti dai vari signori della guerra.

Le narrazioni nazionaliste dei politici continuano ad alimentare divisioni tra serbi, croati e bosgnacchi. Una propaganda carica d’odio che Jasmina non può più sentire: «Ma certo che vivono anche serbi qui,» garantisce Jasmina. «Si vive normalmente, ci si parla, non ci sono problemi di alcun tipo. E’ un trucco dei politici quello di giocare la carta nazionalista, solamente per mantenere il potere. Per quanto mi riguarda, non mi interessa, non voglio nemmeno sapere di che nazionalità sono le persone. E’ qualcosa di sorpassato, di un altro secolo». Jasmina preferisce piantare semi e parlare dei ponti che uniscono le differenti comunità.

« La vita è un miracolo incomprensibile, perché sempre si dissipa e impenna, ma dura e si consolida come Il ponte sulla Drina» . Ivo Andrić, Il ponte sulla Drina, 1945

Dopo aver visitato alcune cooperative agricole italiane verso la metà degli anni duemila, Jasmina è tornata con delle idee chiare per il suo villaggio. Piuttosto che consumarsi nel lavorare da sole il proprio appezzamento di terra, Jasmina ha proposto alle donne di Ustikolina di unirsi attorno alle vecchie ricette e ai prodotti tradizionali della regione. Nasce così la cooperativa Emina. La vicina di casa di Jasmina, di nome Majida, rimane subito affascinata da questo progetto: «Prima lavoravo solo per la mia famiglia,» ricorda mentre è intenta a rimescolare lentamente una quantità enorme di confettura di prugne.  «Ma grazie a questa cooperativa, ho iniziato a produrre anche per altre persone. E’ davvero qualcosa di magnifico. Sin dall’inizio sapevo che questo progetto avrebbe funzionato. Tutte le nostre ricette sono tradizionali, provenienti dalle famiglie del luogo».

Conserve sciroppate, confetture, verdura, ma anche ajvar, la famosa crema di peperoni dei Balcani: tutti i prodotti naturali della cooperativa si vendono in diverse parti della Bosnia Erzegovina. Un successo ottenuto grazie anche al movimento Slow Food: lo “Slatko di prugne požegača” è infatti dal 2009 presìdio Slow Food. Forse anche per questa ragione, slakto, ajvar e ad altri prodotti targati “Emina” hanno iniziato ad essere venduti in canali di distribuzione classica come i supermercati di Bosnia Erzegovina e Croazia. Recentemente inoltre le donne hanno aperto un proprio negozietto a Sarajevo.

La nuova vita di questo villaggio è rappresentata dalle sue donne. A seguito della deindustrializzazione e della guerra, sono loro ad aver preso sulle spalle il destino delle proprie comunità, recuperando quei saperi contadini e metodi di produzione tradizionale soffocati anche dall’industrializzazione agricola del periodo della Jugoslavia socialista.  L’alta valle della Drina può così rinascere con la ricchezza dei suoi frutti:  varietà autoctone, come la prugna požegača, pian piano mettono radici. I prodotti e la natura di questa regione hanno inoltre iniziato ad attirare turisti.

Le persone vengono qui a gustare i nostri piatti tradizionali come lo slatko, organizziamo incontri e gite in barca lungo la Drina,» si rallegra Jasmina. «I visitatori spesso pernottano dalle donne del villaggio, entrando in contatto con la nostra comunità. Questo è bellissimo, significa che stiamo facendo un turismo di qualità.

Jasmina (al centro) offre la colazione ad un nostro gruppo di viaggiatori, aprile 2018 

Se la cooperativa Emina rappresenta un’esperienza virtuosa, rimane ancora una rarità nel panorama bosniaco, segnato da una crisi economica persistente e dove i piccoli contadini sono dimenticati sia dalla politica locale che dall’Europa. Come evidenziato da un rapporto del 2018 della Commissione europea, un altro grosso problema del paese è la corruzione dilagante, affermazione questa che trova Jasmina pienamente d’accordo: «Sfortunatamente c’è troppa corruzione. La gente deve cavarsela da sola, i politici pensano solo ai propri interessi».

All’interno di uno Stato perennemente paralizzato dai tornaconti personali dei suoi funzionari nazionalisti, per le donne di Ustikolina ci vuole una bella dose di coraggio per continuare a prendersi cura del proprio territorio e guardare con speranza al futuro.  Una speranza che hanno perso molti dei giovani bosniaci. Disillusi, preferiscono andarsene. Composta oggi di circa tre milioni e mezzo di abitanti, la Bosnia Erzegovina rispetto al 1992 ha perso più di un milione di persone.

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