Il bunker di Altin - Confluenze

Il bunker di Altin

di Christian Elia, fotografie di Camilla de Maffei. Lungo la strada da Permet a Këlcyrë, nella valle del fiume Viosa, si staglia il profilo di un bunker. L’insegna che ne indica l’ingresso recita: Baxho Meshini – Bunkeri. Sulla soglia, sorridente, il padrone di casa.

“Mi chiamo Altin Meshini, questo è il caseificio della mia famiglia. Venite dentro: vi prometto che trasformerò il latte in formaggio!”. Come la famiglia Meshini fa da decenni. Una lunga tradizione, che Altin assieme al fratello continua ormai da tre generazioni. Con passione, professionalità. E ironia.

“Questo non è un bunker di quelli costruiti durante il regime di Hoxha, questo è ‘made in Italy’! Lo ha fatto costruire Mussolini. Già che c’era, poteva pure farlo un po’ più grande! Noi siam partiti da qui, tutto avveniva in uno spazio angusto. Siamo nel settore dai tempi di mio nonno, prima del comunismo. Faceva il pastore, aveva un gregge di oltre mille capi. Dopo la Seconda Guerra mondiale, gli hanno collettivizzato il gregge e il nonno è stato assunto in una cooperativa di stato, dove si producevano latte e latticini, e appena ha avuto l’età è arrivato anche mio padre. Papà era un vero talento! Negli anni ha raggiunto il livello massimo di formazione nella produzione di latticini, diventando un maestro. Quando il regime è caduto, passando di qui, mio padre ha visto questo vecchio bunker ormai in disuso. Ha avuto l’idea di prenderlo e farne la sede del caseificio di famiglia. E siamo ancora qua”.

Alle pareti del bunker restano appesi degli oggetti del passato: un vecchio fucile, una cassa di munizioni e qualche memorabilia. Passata l’occupazione italiana, come ricorda una targa proprio fuori dal bunker, vicino a una fermata del bus, che celebra i partigiani che in quella zona inflissero una cocente sconfitta ai militari italiani, è passato il periodo di Hoxha. E la famiglia Meshini, tra le pieghe della grande storia, è unita dalla passione per i prodotti caseari. Con un re incontrastato: il djathé kaçkavall.

Hanno appena consegnato ad Altin un carico di latte. Si mette ad analizzarlo, come un esperto della scientifica: “Bisogna fidarsi, ma non troppo. Sanno che se trovo il latte manomesso hanno chiuso con noi, ma a volte qualcuno ci prova!”. Il periodo di raccolta di latte dai produttori locali avviene da marzo ad agosto, con un picco a maggio. Altin segue tutti i passaggi della produzione, dall’arrivo del latte alla vendita del formaggio.

“Dai tempi di mio padre, che è mancato sei anni fa, siamo cresciuti tanto. Abbiamo iniziato in tre: lui, io e mio fratello, in 30 mq. Adesso con noi lavorano anche altri cinque parenti e, pezzo dopo pezzo, l’azienda si è allargata ed è diventata di 240 mq, ma resto affezionato a questo bunker, dove tutto è cominciato, e che ha preso nuova vita grazie all’idea di mio padre”.

Una crescita costante, in questi trenta anni. “E vogliamo crescere ancora! Però senza mai diventare un’industria. La dimensione familiare, il rispetto delle tecniche tradizionali, non vogliamo perderle. Abbiamo un obiettivo: arrivare a produrre 25/30 tonnellate di formaggio, sempre lavorando con latte di capra e di pecora. Siamo cresciuti tanto, investendo anno dopo anno una parte degli incassi nello sviluppo della nostra attività.
La collaborazione con Cesvi è stata molto importante: “loro hanno portato le competenze italiane del settore, io e mio fratello abbiamo portato le nostre tradizioni. Per me lo sviluppo è questo, quando modernità e tradizione si incontrano”. Cesvi conosceva bene questo territorio, così il progetto ProPermet si è inserito in un tessuto nel quale aveva già lavorato. La sintonia è stata perfetta. “Grazie ai macchinari lavoriamo meglio, grazie al sostegno del progetto abbiamo ampliato e migliorato la struttura, ma io e mio fratello continuiamo a usare la tavola di lavorazione di mio padre, in legno, perché la tradizione è importante. Se entriamo in Europa ce l’impediranno! Ma per ora…”, sorride sornione Altin.

Mentre si racconta, non si ferma mai. Lui, il fratello e il nipote si muovono all’unisono, come un’orchestra, senza bisogno quasi di scambiare una parola. Dal latte che è stato consegnato al mattino, si è passati alla fase due, raffreddandolo e facendolo compattare, poi scaldandolo con il vapore e riducendo i pezzi a un caglio che viene separato dal siero. E poi compattato ancora, steso su teli di lino, poi immesso in forme circolare e lasciato riposare. “Dal latte di oggi, 500 litri, alla fine si produrranno circa 85 chili di caciocavallo. Stagionerà 25 giorni in salatura e poi sarà pronto. Altri utilizzano tecniche più veloci, per raffreddare e scalare, noi no. Andiamo con la velocità del latte, non con la nostra, e giriamo a mano, con cucchiai di legno, che aiutano a dare una compattezza di qualità al formaggio”.

Il processo di produzione è affascinante: Altin e il fratello riempiono ogni forma a mano, compensando le più grandi con le più piccole. Non si butta via niente, con un’attenzione ai dettagli affascinante.

Nel bunker Altin non vende solo i suoi di prodotti, ma anche quelli di altri membri del consorzio ProPermet. “Una delle cose belle di questo progetto è che ci ha messi in rete, come comunità, e allora con il mio formaggio io consiglio la grappa, il gliko, il vino degli altri. Che a loro volta promuovono il mio formaggio. Questo è un bene di tutto il territorio di Permet, le nostre usanze, le nostre tradizioni, perché non lavorare assieme?”.

Nel cortile, attorno a un antico pozzo, si muovono furtivi dei gattini. “Qui è dove spero di realizzare un punto di degustazione”, racconta Altin, che sembra non stancarsi mai. “Un posto dove albanesi, italiani, turisti di ogni parte possano fermarsi un attimo, ascoltare la nostra storia, assaggiare i prodotti nostri o degli altri del consorzio. C’è da lavorare, ma ci riusciremo”. O magari ci riuscirà la prossima generazione. “Ho due figlie, son piccole, non so cosa vorranno fare e non sarò io a dirglielo. Come ha fatto mio padre con me. Per un periodo, da giovane, ho lavorato come ispettore delle pompe di benzina nell’Albania meridionale, ma non mi piaceva. Qui realizzo qualcosa, con le mani, ogni giorno. E questo mi rende felice, ma l’ho capito da solo. Il formaggio e le donne son le mie passioni, non in generale: mia moglie e il mio formaggio!”, scherza Altin. “Anche loro capiranno, da sole, cosa vogliono. Il resto, inshallah, lo sa Dio. E lo dico da ortodosso, all’islamica, perché Dio è uno”, esclama sorridendo, “se vedi un uomo che guarda il cielo è un uomo che ha bisogno di aiuto, che importa come chiama Dio? Altrimenti diventa come con i partiti politici!”.

La giornata volge al termine. Finalmente Altin si concede un momento di relax. Una sigaretta, un bicchierino di grappa. E il sorriso che non l’ha abbandonato mai per tutta la giornata. “L’avevo detto che trasformavo il latte in formaggio? Alla fine l’ho fatto!”.

Il presente articolo di Christian Elia e Camilla de Maffei è parte del progetto “TREC – Albania Viaggia a Modo Tuo: Gestione Multi-Attore Integrata del Turismo Rurale e Culturale Nelle Regioni di Argirocastro e Berat”, finanziato da “AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo”. L’ong capofila CESVI (www.cesvi.org) lo implementa in collaborazione con numerosi partner istituzionali e locali. Il progetto mira ad uno sviluppo sostenibile del territorio attraverso interventi di supporto alle piccole imprese agroalimentari, artigianali e turistiche, formazione professionale e marketing territoriale. A breve anche su Confluenze sarà pubblicato il sito dedicato al progetto.

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